02 novembre 2011

La Chiesa, l'aborto e Ferrara

Lo avevamo già detto la scorsa settimana, ma è giusto ripetersi: bisogna dare merito a Giuliano Ferrara di tenere viva l’attenzione sul dramma dell’aborto con una decisione e una energia sconosciute a gran parte del mondo cattolico. E così facendo mostra anche tutta la menzogna di quella propaganda che vorrebbe ridurre la questione dell’aborto a uno scontro laici contro cattolici. Non è necessario essere cattolici per comprendere tutta la barbarie di questa eliminazione sistematica dei soggetti più deboli e vulnerabili della società. Basta l’uso della ragione.

Se ci ripetiamo è perché negli ultimi giorni Ferrara dalle colonne de Il Foglio è tornato due volte sull’argomento, la seconda delle quali – ieri – rispondendo al nostro editoriale del 21 ottobre firmato da Mario Palmaro. Sabato 22 ottobre, invece, aveva rispettosamente spiegato in prima pagina perché ritiene che la Chiesa sia oggi l’ostacolo più grosso a una vera battaglia culturale contro l’aborto. “La comprensione del peccato” insita “nell’amore”, dice in sostanza il direttore del Foglio, in qualche modo rende molli i cattolici che penserebbero più a “redimere” l’umanità che pecca – puntando su tempi lunghi - che non a intervenire drasticamente per bloccare questa vergogna “nel tempo legislativo e politico”. Poi, a Palmaro che gli ricordava l’errore di considerare come un dato acquisito e indiscutibile la legge 194 (se una cosa è male non può essere ammessa dalla legge), Ferrara risponde che una battaglia legislativa è di retroguardia, che “la sanzione giuridica del reato di aborto non funziona in un mondo relativista”. E quindi lancia la sua proposta: “superare la legge, darla per scontata, e opporre un amore sì, ma un amore paolino, un amore duro, ardente, di fede e di cultura, alla sordità morale che impedisce politiche pubbliche doverose contro l’aborto in ogni sua forma (compresa la manipolazione eugenetica dell’embrione umano)”.

Noi condividiamo appieno la parte fondamentale della proposta, quella dell’«amore paolino», della battaglia culturale per opporci alla sordità morale della nostra società. E non potrebbe essere altrimenti: nel nostro piccolo è quello che La Bussola Quotidiana fa già da quando è nata, meno di 11 mesi fa, non a caso nella ricorrenza dell’8 Dicembre, l’Immacolata Concezione: quale figura umana può più degnamente rappresentare questa battaglia culturale invocata da Ferrara? E l’Immacolata ci ricorda anche che l’opposizione all’aborto non nasce da una convinzione ideologica, ma da un sì alla vita, da un sì alla verità di sé che fa proprie tutte le ragioni e tutte le inquietudini e incertezze degli uomini e delle donne di ogni tempo.

Noi ci sentiamo già appieno in questa battaglia ricordando anche le profetiche parole di Giovanni Paolo II che all’incontro mondiale con le famiglie, a Rio de Janeiro nel 1997, disse chiaramente che la battaglia del Terzo millennio sarebbe stata attorno all’uomo, perché Satana, non potendo colpire Dio direttamente, si accanisce contro il vertice della Creazione, quella creatura fatta a Sua immagine e somiglianza. L’aborto, la sua banalizzazione, il tentativo di diffonderlo in tutto il mondo, addirittura la follia di volerlo inserire tra i diritti umani fondamentali, è il segno più evidente di quanto Giovanni Paolo II avesse ragione.

Quindi, caro Ferrara, su questo noi ci siamo, anche perché ci siamo sempre stati e il curriculum di tante firme de La Bussola Quotidiana non lascia spazio a dubbi. Ma siamo convinti che di questa battaglia culturale faccia anche parte riaffermare la profonda ingiustizia di quella legge che nel nostro paese ha introdotto l’aborto.

Non facciamo oggi una battaglia per cambiare quella legge, né indugiamo su questo, ma solo perché siamo consapevoli che non ci sono le condizioni culturali e politiche per poterlo fare. E su questo siamo perfettamente d’accordo. Ma un conto è dire che allo stato attuale la legge non si può cambiare, che non vale la pena discuterne, un conto è dire che la 194 va bene così. Se il giudizio sull’aborto è così chiaro - “un omicidio seriale” – non può non comprendere anche una valutazione sulle leggi che lo consentono. Come del resto è una proposta giuridica quella di riformare in senso anti-abortista l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un altro cavallo di battaglia di Ferrara.

Ma oltre che sul piano della logica è bene spiegare questo punto anche da un punto di vista storico ecclesiale. In fondo Ferrara ha ragione nel lamentare una certa ritrosia del mondo cattolico a impegnarsi sul tema dell’aborto: del resto la stessa campagna per il referendum del 1981 dovette fare i conti con una latitanza piuttosto diffusa tra i pastori della Chiesa italiana. E tutt’oggi è molto più facile trovare un vescovo che si scaldi e lanci anatemi contro la gestione privata degli acquedotti che non uno che faccia altrettanto contro la piaga dell’aborto.

Difficile però sostenere che il problema stia nella concezione di amore. Esso sta piuttosto nella mancanza di amore: alla vita e alla verità anzitutto. Lo dimostra il fatto che i documenti del Magistero, gli interventi dei Papi, sono sull’aborto molto più duri e netti delle posizioni che poi vengono assunte da singoli vescovi, sacerdoti, laici impegnati nel sociale e nella politica. Non è certo un segreto che i ripetuti interventi di Giovanni Paolo II su questo tema, in Italia e all’estero, fossero sopportati con un certo qual fastidio e per quanto possibile silenziati da molti opinion leader cattolici, laici o ecclesiastici che fossero. Basterebbe confrontare quanto è scritto nella Evangelium Vitae o nella nota del 2002 della Congregazione della Dottrina della Fede sull’impegno in politica, con il contenuto dei giornali cattolici “ufficiali” per rendersi conto che c’è una distanza abissale nel giudizio e nelle conseguenze. E i “princìpi non negoziabili” codificati da Benedetto XVI, che il Papa – e ora anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco – pone come fondamento di ogni politica per il bene comune sono visti come pietra d’inciampo da tante sigle e personalità cattoliche. Noi stessi lo abbiamo denunciato più volte da queste colonne: i primi a non credere veramente al valore dei “princìpi non negoziabili” (famiglia, vita, libertà di educazione) sono la gran parte dei vescovi.

Dopo l’approvazione della legge sull’aborto nel 1978 e la sconfitta nel referendum del 1981, in tanti è prevalso il desiderio di evitare l’argomento, considerato troppo lacerante per la società italiana. Si è pensato di contribuire a ricucire le ferite provocate da quell’aspro confronto, tacitando l’argomento: si è cioè anteposta l’opportunità “politica” alla verità e all’amore (sul piano politico era già avvenuto in precedenza se si considera che la legge 194 fu firmata da ministri democristiani di provata fede cattolica). Inoltre, i tanti cattolici che da laici e rimettendoci in proprio – bisogna riconoscerlo – si sono sempre spesi in prima linea sul fronte della vita (Centri di aiuto alla vita, Progetto Gemma, sepoltura dei feti) hanno faticato a trovare simpatia e sostegno in coloro che nella Chiesa contavano. E sulla legge 194 per oltre venti anni è calata una cortina di silenzio.

In altre parole, l’introduzione di questa legge ha avuto anche l’effetto di infiacchire la Chiesa italiana sul piano della battaglia culturale. E l’oblìo in cui è caduta la Legge 194 è una delle cause che ha permesso, in tempi recenti, ad autorevoli esponenti cattolici e pro-life di riparlarne in termini positivi, come se il problema in questi anni fosse stato solo nella mancata applicazione di alcune parti della legge stessa, più favorevoli all’accoglienza della vita. Ripetiamo per evitare fraintendimenti: ben venga tutto quello che si può fare per migliorare la situazione, per ridurre il più possibile gli aborti procurati, anche l’uso di una legge ingiusta come la 194. E sempre tenendo conto che abbiamo a che fare con dei drammi umani. Ma questo non fa diventare buono ciò che è intrinsecamente cattivo. Non possiamo confondere la strategia politica e culturale con il giudizio di valore.

Una vera battaglia culturale, “opporre un amore paolino alla sordità morale che impedisce politiche pubbliche doverose contro l’aborto in ogni sua forma”, implica che tutto sia compreso nella verità, che nulla sia censurato. Su questo noi ci siamo.

(di Riccardo Cascioli- tratto dalla "Bussola Quotidiana")

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