03 ottobre 2010

Che cosa ci dice l'aggressione a Belpietro


E’ persino inutile esprimere l’indignazione per l’aggressione subita dal direttore di Libero Maurizio Belpietro. La professionalità degli uomini di scorta ha evitato una tragedia, e di questo bisogna essere grati, ma naturalmente questo non cancella la gravità dell’accaduto. Il fatto che dirigere un giornale combattivo, esprimere opinioni nette e quindi ovviamente controverse, metta in pericolo la vita e la sicurezza è davvero una intollerabile limitazione della libertà di espressione. Non vale la pena di fare la conta di quanti giornalisti di questa o di quell’altra coloritura politica debbano vivere sotto scorta, fosse anche uno solo sarebbe troppo. Questa situazione, va detto, dura da anni, il che testimonia una realtà diffcile da accettare: in un paese democratico e civile dire quel che si pensa è pericoloso.
Perché? Non è facile rispondere senza rifugiarsi nelle giuste ma ovvie recriminazioni sui sentimenti di odio e di totale disprezzo che accompagnano e inquinano la necessaria dialettica politica. E’ un clima col quale siamo costretti a convivere da quarant’anni, perché, al di là della solidarietà espressa con sincerità da tutti i responsabili di fronte a fatti di violenza politica, manca un’azione comune per estrometterla davvero e definitivamente dal confronto. Se si incita alla caccia all’uomo, come ha fatto per esempio Antonio Di Pietro contro Marcello Dell’Utri, ci si sottrae al dovere di garantire a tutti il diritto di espressione, con conseguenze indirette ma inequivocabili.
(tratto da il quotidiano "Il Foglio")

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